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L’adulthood è sempre 5 anni più in là (e tutti fingono di non vederlo)

Basta con i soliti contenuti patinati. Basta con le solite storie di successo che sembrano uscite da un romanzo fantasy. È tempo di guardare in faccia la realtà del mondo, con tutte le sue contraddizioni. Vi presento "Elefante Nella Stanza": uno spazio dove metterò il dito nella piaga di quelle verità scomode che tutti conoscono ma che pochi hanno il coraggio di parlarne pubblicamente.

Adulthood – “Cresci in fretta” urlano da una parte, “aspetta il tuo turno” sussurrano dall’altra. I trentenni di oggi vivono in questo limbo assurdo: abbastanza adulti da dover pagare un mutuo, non abbastanza per essere presi sul serio quando lo richiedono. Un mondo che ti chiede di correre ma ti tratta come se avessi ancora le rotelle sulla bici. In quale altra epoca un trentaduenne con lavoro stabile, master e progetti futuri sarebbe stato guardato con la stessa condiscendenza riservata a un adolescente alle prime armi?

Quello che i guru non dicono

I predicatori della responsabilità personale omettono convenientemente un dettaglio cruciale: il muro invisibile della credibilità anagrafica. Non raccontano di quella riunione dove la tua idea brillante viene ignorata, per poi essere celebrata quando la ripropone il collega cinquantenne. Tacciono sullo sguardo del concessionario che, davanti a una giovane donna che vuole acquistare un’auto, cerca istintivamente il “vero cliente” alle sue spalle. Quel momento in cui il tono di voce cambia, si fa più lento, più articolato – come si fa con i bambini – quando scopri che il medico/avvocato/consulente ha “solo” trent’anni.

Perché questa ossessione distruttiva

La società ha allungato artificialmente l’adolescenza fino a renderla quasi permanente, creando una categoria di “adulti in prova” che si estende ben oltre i trent’anni. Questa distorsione non è casuale: mantenere le giovani generazioni in uno stato di perpetua inadeguatezza garantisce il controllo delle leve del potere. Più insidioso ancora è il doppio vincolo: “Perché non metti su famiglia?” chiede la stessa società che poi etichetta come “troppo giovane” quel manager trentenne per affidargli responsabilità significative.

L’elefante nella stanza

Eccolo, gigantesco e volutamente ignorato: il “giovane-adulto Schrödinger”, simultaneamente troppo immaturo e perfettamente adulto, a seconda della convenienza altrui. È quel colloquio di lavoro dove ti chiedono “esperienza da senior” ma ti offrono uno stipendio “entry level”. È la banca che dubita della tua capacità decisionale mentre firmi un mutuo trentennale. È quella riunione familiare dove sei troppo giovane per esprimere opinioni politiche ma abbastanza adulto da dover contribuire alle spese della casa. Questa ambivalenza calcolata crea una terra di nessuno emotiva, dove milioni di persone vengono strategicamente infantilizzate quando reclamano spazio e potere, ma rapidamente “adultizzate” quando c’è da assumersi responsabilità o colpe. È la trappola perfetta: sei sempre dall’altra parte della soglia rispetto a dove ti converrebbe essere.

Verità scomoda

I dati parlano chiaro: l’età sociale e quella biologica non coincidono più. Un trentacinquenne oggi viene percepito come un ventisettenne degli anni ’80, creando un disallineamento che nessuno sa come gestire. Più inquietante ancora è la scoperta che questa infantilizzazione prolungata ha effetti tangibili: studi dimostrano che essere costantemente sottovalutati porta a forme di insicurezza professionale che persistono ben oltre il momento in cui si supera la “soglia magica” dell’età rispettabile.

La verità equilibrata

L’autentica maturità non ha nulla a che fare con gli anni e tutto con la consapevolezza. La competenza non è una funzione dell’età, ma dell’esperienza specifica e della capacità di apprendimento – spesso più vivace nei più giovani. Un ecosistema sano riconoscerebbe il valore complementare delle diverse generazioni: l’energia innovativa di chi è all’inizio del percorso e la saggezza sedimentata di chi ha navigato più a lungo le acque della vita. L’equilibrio sta nel valutare le persone per ciò che sanno fare, non per quando sono nate.

Il plot twist finale

La generazione più “infantilizzata” della storia sta silenziosamente rivoluzionando il concetto stesso di autorità. Cresciuti nell’esperienza di dover costantemente dimostrare il proprio valore contro pregiudizi radicati, questi “eterni giovani” stanno sviluppando un modello di leadership basato sulla competenza dimostrabile piuttosto che sull’anzianità. La suprema ironia? Proprio l’esperienza di essere continuamente sottovalutati li ha resi maestri dell’adattabilità e della resilienza – le qualità più preziose in un mondo in rapido cambiamento. Chi è davvero l’adulto nella stanza: chi rivendica autorità per diritto anagrafico o chi ha imparato a guadagnarsela ogni singolo giorno?

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