Come la pubblicità televisiva, un motto iconico e la fiducia popolare portarono un mobilificio a dominare il mercato… prima di crollare rovinosamente
L’alba di un’epopea commerciale
Fallimento Aiazzone – Negli anni Cinquanta, in un’Italia ancora in ripresa dalla Seconda guerra mondiale, Mario Giuseppe Aiazzone fonda a Tollegno un’attività artigianale di produzione mobili. È l’inizio di una storia che, nel giro di trent’anni, avrebbe trasformato il piccolo mobilificio piemontese in un colosso nazionale delle televendite. A imprimere l’accelerazione decisiva sarà il figlio Giorgio, imprenditore brillante, visionario e instancabile innovatore.
Negli anni Settanta, Giorgio ed Enrica Aiazzone aprono la nuova sede a Biella, in corso San Maurizio, e nel 1981 nasce ufficialmente il marchio Aiazzone. Poco dopo, l’azienda si trasferisce nella più moderna struttura di corso Europa, costruita ad hoc. Il passo successivo sarà l’elemento che cambierà radicalmente il paradigma commerciale: l’uso intensivo e strategico della pubblicità televisiva.
Quando la TV cambiò il mercato dei mobili
L’Italia dei primi anni Ottanta è attraversata da una trasformazione culturale e tecnologica epocale: la nascita delle televisioni commerciali private. Canale 5, Rete 4, Italia 1 iniziano a contendere l’attenzione del pubblico alla Rai, aprendo nuove possibilità pubblicitarie per le aziende più intraprendenti. Giorgio Aiazzone coglie immediatamente il potenziale.
Scommette tutto su uno stile di comunicazione diretto, emotivo, popolare. Nasce il Gruppo Aiazzone Televisivo (G.A.T.), che unisce emittenti locali come Telebiella, TeleMontepenice e Telejolly, con una copertura che si estende a buona parte del Nord Italia. Gli spot, però, si vedono ovunque: su Canale 5, Antennatre, Telegenova e Rete A.
Ma il vero colpo di genio è la scelta del volto televisivo: il presentatore Guido Angeli, con il suo iconico “Provare per credere”, entra nelle case di milioni di italiani, divenendo sinonimo stesso del marchio Aiazzone. Spot martellanti, televendite ossessive, offerte a tasso zero e un’immagine rassicurante conquistano il pubblico. Il mobilificio piemontese diventa leader di mercato.

Boom economico e modelli vincenti
Nel 1985, ben 70.000 persone varcano le porte della sede di Biella. Il fatturato supera i 30 miliardi di lire. Il successo è tale da far nascere progetti ambiziosi come la “Città del Mobile” di Verrone, che avrebbe dovuto ospitare negozi, banche e ristoranti. Viene introdotto anche il credito al consumo su larga scala: “pagamento in 36 mesi senza cambiali”, un’innovazione che amplia la platea dei clienti e triplica i fatturati.
Il modello Aiazzone funziona grazie a una rete di fornitori fidelizzati, soprattutto in Brianza e nel Biellese, e a un’offerta commerciale che mescola mobilio a basso costo e accessori. Il cliente non acquista solo un prodotto: vive un’esperienza immersiva, riceve omaggi, buoni sconto per ristoranti, gadget. Il mobilificio diventa luogo d’incontro e svago, una “Aiazzone City” dove tutto ruota attorno all’idea di convenienza e spettacolarità.
La tragedia e l’inizio della crisi
Tutto cambia il 6 luglio 1986. Giorgio Aiazzone muore in un incidente aereo. L’azienda perde il suo motore, il suo carisma, la sua visione. Nei primi anni Novanta iniziano i primi scricchiolii. Il G.A.T. viene sciolto, la sede centrale riduce il personale, la “Città del Mobile” viene abbandonata. Tuttavia, il marchio resta ancora forte. Nel 1994 è ancora il primo in Italia nel suo settore.
Nel 1997, la Mobilificio Piemonte S.r.l. viene ceduta per 18 miliardi di lire al gruppo Franceschini. Da quel momento in poi, il brand passa di mano in mano, perdendo progressivamente valore e coerenza. Le vendite continuano, ma senza la spinta propulsiva del fondatore e con una gestione sempre più frammentata.
Il declino e il fallimento
Nel 2008, l’imprenditore Renato Semeraro e la famiglia Borsano rilanciano il marchio Aiazzone unendolo alla rete PerSempre Arredamenti e a parte della catena Emmelunga. Nasce la società B&S S.p.A. con sede a Torino. L’operazione è ambiziosa: portare Aiazzone a una distribuzione nazionale.
Ma il modello non regge. I debiti si accumulano, i fornitori non vengono pagati, i dipendenti restano senza stipendio, i clienti attendono consegne mai arrivate. Nel 2010 arriva il fallimento. L’anno successivo, nel marzo 2011, la Procura di Roma arresta i vertici del gruppo: Borsano, Semeraro e Gallo. Le accuse sono gravissime: bancarotta fraudolenta, distruzione di documenti contabili, frode fiscale, riciclaggio.
La gestione si rivela un colossale schema di spoliazione societaria, culminato nel trasferimento fittizio delle aziende in Bulgaria per sfuggire al fallimento. Il danno economico è incalcolabile. Ma il danno umano è ancora più grande.
Le conseguenze per lavoratori e fornitori
Il fallimento di Aiazzone lascia sul campo centinaia di lavoratori senza stipendio, piccoli fornitori travolti dai debiti, famiglie che avevano già pagato arredi mai ricevuti. La crisi è devastante, soprattutto nelle province del Nord dove il marchio aveva radici profonde.
Il 1° giugno 2011, un magazzino abbandonato a Pognano viene preso d’assalto da duecento persone — molte delle quali creditori — che saccheggiano mobili e materiali rimasti. Un episodio che, al di là dell’illegalità, racconta la disperazione sociale causata da un fallimento percepito come ingiusto e impunito.
Una lezione amara sulla fiducia
Il caso Aiazzone è emblematico per comprendere quanto un marchio possa diventare parte del tessuto sociale e culturale di un Paese. Lo slogan “Provare per credere”, ripetuto da Guido Angeli con tono assertivo, non era solo una strategia di marketing: era un invito alla fiducia.
Quella fiducia, per anni ripagata con serietà ed efficienza, è stata tradita da una gestione postuma spregiudicata. Chi aveva investito in Aiazzone — che fosse tempo, denaro o lavoro — si è ritrovato spesso solo, abbandonato e senza risposte.
L’eredità culturale del fenomeno Aiazzone
Aldo Grasso ha definito la filosofia di Aiazzone “la TV del sommerso”, l’elogio della quotidianità, l’arte dell’arrangiarsi. Oggi, con il senno di poi, quella filosofia è stata anche la base del moderno commercio televisivo e online.
L’“effetto Aiazzone”, come è stato chiamato da alcuni esperti di marketing, descrive bene un rischio: quando l’aggressività pubblicitaria supera il livello di fiducia, si innesca un meccanismo contrario alla fidelizzazione. Disaffezione, sospetto, diffidenza.
Eppure, per una generazione di italiani, Aiazzone è stato qualcosa di più di un negozio di mobili. È stato un appuntamento fisso in TV, un volto familiare, un sogno di consumo accessibile. Un’illusione, forse. Ma vissuta intensamente.
Fonte: Wikipedia – Storie di brand
Social Context: “Provare per credere” è stato il motto di un’epoca. Ma dietro il successo di Aiazzone si nasconde una storia di sogni infranti e fallimenti clamorosi.